Hozier: la bellezza del sentirsi inadeguati

A distanza di circa tre anni dal suo singolo di debutto “Take me to church” – onnipresente nell’etere di mezzo universo conosciuto – sentivo di non poter ritardare oltre il panegirico su Andrew-Hozier-Byrne: al secolo Hozier (come se il cognome da solo non avesse potuto funzionare).

Classe 1990, figlio di un batterista blues cresce nella ruralissima e – a sua detta – bigotta cittadina di Wicklow Mountains dove gli autobus “passavano più o meno ogni due ore” e in assenza di negozi di dischi finisce con l’assorbire la musica paterna: dal folk al soul e gospel; da Billy Holiday a Nina Simone passando per Ella Fitzgerald e Tom Waits, suo più grande amore (e non gli è andata mica male).

In ogni caso, la parte che preferisco della storia artistica di Hozier, optando per qualche salto temporale, è sicuramente la sua “rivelazione” mentre si esibiva in un modesto barbecue di paese (almeno se vogliamo credere a quello che per molti artisti a volte non è che un espediente narrativo di contorno). Considerando il carattere finora esibito (schivo ma autoironico, introverso ma fortemente ambizioso) unito all’alto valore sociale dei suoi testi direi che possiamo dargli fiducia. Non è la prima volta che una grande agenzia tenda una mano ad artisti sconosciuti che in assenza di “aiuti alti” fanno da sé autoproducendosi sul web (come è il caso di Hozier); quello che cambia o per meglio dire non cambia affatto in questa storia è la perdurante e meravigliosa impacciataggine di Hozier nonostante il successo mondiale e un patrimonio ormai milionario; ma è soprattutto la purezza mai finora contaminata da certe dinamiche aziendali (sorvoliamo solo sulla sua apertura della sfilata di Victoria’s Secret) dei suoi contenuti lirici la cui forza sta proprio nel far leva su un’idea di successo e felicità in grado di fondarsi sul diverso da sé e da ogni tentativo di “normalizzazione”. Una delle sue dichiarazioni a proposito dell’uso ossessivo dei social network ne è la prova.

“We are in a self-obsessed moment of mankind. Everything is marketed towards the idea of the self, but not the real self, rather what you want people to think you are. Social media is an advertisement for the superficial extroverted self. I’m uncomfortable with selfies and status updates documenting mundane pieces of my life which I don’t think should be of interest to anyone else”.

La verità è che di storie a lieto fine come la sua ce ne sono tante fuori dai nostri confini, e forse il dato più scoraggiante è proprio questo. Quando si tratta di investire nei giovani e nel talento, qualunque sia il settore, possiamo considerarci un paese fallito: probabilmente da noi a quest’ora Hozier starebbe ancora suonando in qualche festa patronale o alla sagra della polenta taragna, ma fortunatamente per lui e per noi la sua nascita è stata geolocalizzata meglio.

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